L E P R O V V I S T E
La salsa
Quando si è piccoli, tutte le cose, anche le più insignificanti, assumono un fascino particolare e persino le faccende più faticose sembrano, agli occhi dei bambini, divertenti ed eccitanti.
Un tempo, a Crotone, nel mese di luglio o agosto, si usava fare la salsa; di solito era mio padre ad occuparsi dell’acquisto della materia prima ed il venditore consegnava a casa nostra, di prima mattina, cinque o sei casse di pomodoro sulle quali troneggiavano enormi mazzi di profumato basilico.
Iniziavano allora una serie di preparativi che duravano anche intere settimane: bisognava innanzitutto lavare scrupolosamente le bottiglie di vetro, risciacquare i vari macinini, tirare fuori l’attrezzatura adatta per turare le bottiglie, il pentolone ed i mestoli. Bisognava, inoltre, andare in giro a cercare la legna necessaria per il gran fuoco finale per “fare il bagno alla salsa”.
In quei giorni, io ero al settimo cielo e raccontavo a tutte le mie amiche che in quei giorni non avrei potuto giocare con loro perché avrei dovuto aiutare mia madre; alcune mie cugine offrivano il loro aiuto ed io ne ero contenta perché pensavo che, in seguito, anch’io avrei dovuto aiutare loro per preparare la salsa.
Le bottiglie venivano selezionate, controllate accuratamente e poi lavate in una grande conca che mia nonna Catina teneva in una stanza semibuia e vuota.
Io e mia sorella facevamo la gara a chi ne lavava di più e spesso si finiva col tirarci addosso l’acqua, mentre mamma ci minacciava gridando che non voleva più il nostro ” prezioso ” aiuto.
Il mattino dopo tutta la famiglia si alzava di buon’ora, ci sistemavamo con tavoli, sedie ed immensi taglieri vicino la porta d’ingresso e cominciavamo le varie operazioni di preparazione.
Di tutto quel pomodoro, una parte, quello più sodo, era destinato a diventare filetto; quello più maturo, invece, veniva bollito, messo a colare in grandi scolapasta, macinato ed infine versato nelle bottiglie nelle quali era già stato introdotto abbondante basilico.
Io preferivo preparare il filetto: rammento con quanta cura tagliavo il pomodoro in sottili fettine e con quanta altrettanto cura infilavo le striscioline nelle bottiglie, battendo il fondo di esse, due o tre volte, su un canovaccio arrotolato per fare in modo che il filetto di pomodoro si depositasse fino all’orlo della bottiglia.
L’intenso odore del pomodoro fresco e del basilico impregnavano la mia piccola casa e la stradina, in cui, in quei giorni, era un andar vieni di vicine con mestoli, tappi di sughero, recipienti ed imbuti di ogni specie e misura: era questo un modo per dimostrare la loro disponibilità, senza tanti preamboli ognuno di loro si autoinvitava e sedeva al tavolo di lavoro per dare il proprio aiuto, validi suggerimenti ed utili consigli affinché la salsa, alla fine, risultasse gustosa e prelibata.
All’imbrunire arrivava il momento più’ delicato di tutta l’operazione ed allora entrava in scena mio padre, che preparava un grande tripode con sotto tanta legna situato ad un angolo della strada.
Guardavo mio padre sistemare con cura le bottiglie in un grosso pentolone e poi accendere finalmente il fuoco.
Di solito tutto procedeva senza intoppi, le fiamme si spegnevano completamente dopo qualche ora e si lasciavano le bottiglie a raffreddare nel pentolone per tutta la notte.
Io andavo a letto esausta con le braccia ricoperte di piccole bolle a causa dell’acido del pomodoro: ma non mi lamentavo, era quello il prezzo da pagare per quella giornata diversa e durante la quale mi ero divertita un mondo!
Antonella Nicoletta